La pummarola diventa made in Japan


L’azienda leader italiana passa a Mitsubishi. Sos di Coldiretti:
«Una task force per evitare che l'agroalimentare diventi terreno di conquista»
In principio ci furono la pasta e l’olio. Poi latte e spumante. Adesso tocca alla pummarò. Nei prossimi giorni la maggioranza della società (Ar Alimentari) che produce i pomodori pelati passa nelle mani della società anglo-nipponica Princes controllata dal gigante Mitsubishi. Una multinazionale già in società con Antonino Russo, il padre dell’azienda prima produttrice italiana dei pelati.

«Purtroppo finisce sotto il controllo straniero uno dei simboli a tavola del made in Italy. Il terzo colpo in meno di un anno. E’ arrivata l’ora che la politica intervenga non per metterci una pezza ma per prevenire questo assalto», attacca Sergio Marini, presidente nazionale di Coldiretti. E spiega: «Serve una task force, una struttura di pronto intervento che, nei limiti delle leggi di mercato, cerchi di fermare la trasformazione del nostro settore agroalimentare in terreno di conquista».

La ditta di Antonino Russo fa pelati dall’inizio degli Anni Sessanta dell’altro secolo. Da allora la ditta individuale è cresciuta (il primo accordo con la Princes è del 2001) con tre stabilimenti (due a Napoli e uno a Foggia) e uno scatolificio nel salernitano, fino a diventare leader della produzione in Italia ma con un mercato orientato soprattutto verso l’estero. Il 30% del giro d’affari è l’Inghilterra, il 20% per la Germania, il 10% per l’Africa, l’8% per la Francia. Quote minori di export viaggiano verso la Grecia, gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone, l’Austria e il Sud America. Solo il 20% delle vendite sono realizzate in Italia.

Numeri che secondo Marini, dimostrano «l’appetibilità economica di questa grande realtà produttiva italiana», la grande «attenzione delle multinazionali» per società di questo tipo e l’assenza di «una strategia di contenimento di questa espansione». Del resto è difficile scordare le polemiche nate intorno alla cessione di Parmalat ai francesi di Lactalis. Allora il tentativo di creare una cordata italiana fallì di un soffio. Nessun soccorso tricolore, invece, nel caso della cessione della maggioranza della Gancia (Asti spumante) al magnate russo Rustam Tariko.

La preoccupazione di Coldiretti è che l’acquisizione dei marchi agroalimentari italiani da parte delle multinazionali possa diventare un fatto strutturale, «perché sul mercato globale il made in Italy va forte, come provano anche le contraffazioni dei nostri prodotti». Insomma «chi governa dovrebbe interrogarsi sulla necessità di mantenere italiana la governance di queste imprese». E dovrebbe farlo soprattutto in un momento di crisi come questo: «Per la crescita economica del paese, infatti, non bastano solo le liberalizzazioni ma anche pianificare quali settori possono garantire la crescita. L’industria agroalimentare è uno di questi e si porta dietro la possibilità di creare l’occupazione non solo nel campo della trasformazione ma anche in agricoltura».

Il timore di Marini è legato a un ragionamento generale che esula dal caso specifico: «Prima o poi queste aziende che stanno sul mercato hanno interesse a delocalizzare l’approvvigionamento delle materie prime, poi quello degli stabilimenti di produzione ma continuano ad utilizzare il marchio made in Italy, quello che segna la differenza». Tocca al governo fare le mosse giuste perché «i produttori possono solo accelerare il processo di costruzione di una filiera agricola tutta italiana, che attraverso gli agricoltori può garantire quel legame con il territorio che ha consentito ai grandi marchi di raggiungere traguardi prestigiosi». (da la Stampa / Maurizio Tropeano)

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